giovedì 23 luglio 2020

Ascolta!


Un giorno, nel lontano 2008, mi recai al Museo Madre, a quel tempo era ancora un feudo unico e contemporaneo. C'era la presentazione di una retrospettiva dedicata all'opera dell'artista tedesco George Baselitz. L'esposizione era curata da Norman Rosenthal e per l'occasione tra i relatori anche Achille Bonito Oliva. All'ingresso mi ferma una elegante signora e mi dice che senza accredito non posso entrare. Nell'arte contemporanea è difficile entrare, si può accedere solo se si è accreditati.  Altrimenti niente forme, niente colori, niente suoni, niente bellezza. L'arte oggi dialoga ma nessuno è in grado di ascoltarla. Senza avere i codici di accesso, non la puoi comprendere. Allora, penso di registrarmi come ascoltatore, un uditore in cerca di comprensione, che può finalmente sentire parlare Baselitz. «No, non è possibile!» la voce dell'hostess, devo rinunciare e restare fuori. Quando si parla di arte devi avere un contesto, un ruolo determinante, devi essere conforme ai grandi eventi. Essere autorizzato agli eccessi e pure agli accessi. Non vedo in giro nemmeno un manuale, una guida al rifiuto. Però, se voglio, posso dare un occhiata al catalogo. Eccolo, bello, copertina bianca e nera col nome dell'artista color prugna, che spicca elegante sul tavolino ricoperto di velluto blu. Ma è possibile che tra tutti i movimenti artistici contemporanei manca uno dedicato all'ascolto? Sorrido alla mia musa, ho compreso. La vera arte è per pochi, per l'élite, per i collezionisti, per chi vuole una parete da riempire con vistose incomprensioni. Ma non fatelo sapere agli artisti, ci rimarrebbero male. Io sono contemporaneo dell'apatia e vivo la depressione dell'entrata. Nemmeno alle inaugurazioni, ai vernissage, ai finissage, posso oltrepassare il limite dell'invito. Non ho critici che mi fanno l'occhiolino e nemmeno curatori che mi consigliano una medicina appropriata. Io non faccio arte, gli giro intorno... ma senza entrare!
Alla fine lascio il caveau blindato dell'arte e me ne torno a casa. Stringo tra le mani il catalogo della mostra. Ho portato fuori l'arte. Qualcosa da leggere, posso guardare anche le figure a colori. Tutto questo è ancora possibile. L'arte esce per strada, ci hanno provato quelli della street art ma anche loro sono stati internati, sono stati privatizzati. Per farsi ascoltare ci vuole ancora tempo, forse se ne discuterà in una prossima avanguardia. Per il momento l'arte contemporanea resta dentro, non è fatta per chi sta fuori. Lei continua a pensare, ad essere concettuale. Si regge sui gesti, sulle multinazionali del bello, sui dirigibili dei mercanti. Io intanto aspetto di incontrare la prossima hostess e scambiare con lei due chiacchiere e alla fine aumentare anche la mia collezione privata... di cataloghi naturalmente!