domenica 20 agosto 2017

arte, questa sconosciuta!

Il dubbio di sempre: “a cosa serve fare arte”. L’arte supera ogni superstizione, può toccare ferro, marmo, tele ed oggi materiali di recupero. Può avere un critico compiacente che asseconda i suoi momenti di lucida  follia scaricandoli  sull’opera, ignaro  del suo significato, del suo esistere. L’opera vorrebbe raccontare quello che nessuno può conoscere, vorrebbe visualizzare la più appetibile delle visioni, vorrebbe tirare fuori l’artista  che ha in se. Ho fatto la “gavetta”, i miei maestri hanno opere sparse nei musei. Sono più di trenta gli anni da visionario e la mia attrezzatura di base è l’ironia. Racconto le stranezze del mondo, scrivo su pezzi di carta le storie del vivere comune. Sono l’anima nera di una matita. Io napoletano dalla nascita. Questa malformazione mi accompagna da sempre, come un marchio registrato. Mi accorgo che è duro evidenziare il lato migliore, ma il confronto è sulla strada e non nei bordelli dei pochi eletti, nei bei musei civici cittadini dove i soliti mercanti dell’arte dettano le loro opinioni. Negli ultimi dieci anni realizzo prevalentemente opere con un materiale definito “povero”. Nel mondo seriale e industrializzato, nell’era digitale,“costruire” un opera pezzo per pezzo, come di solito uso fare, diventa un evento, una magia. Rianimo cartoni che, come attori recitano un soggetto scritto dalla realtà e che molte volte reclamano la loro autonomia dalla mia idea di rappresentazione. Per il resto la vita scorre tranquilla, non c’è traffico, la malavita è assente, i politici sono al servizio dei cittadini, l’aria è respirabile, tutti hanno un lavoro, il mare è pulito, il sole ci dona l’energia alternativa. Eppure non ho bevuto, forse è l’ebbrezza di una emozione. È la lettura interiore di chi astemio non si beve il destino dell’uomo. Oggi restano solo le opere le vere protagoniste della vita di un presunto artista.