venerdì 29 aprile 2011

uait... le foto


Uorld in Uait

Una volta era un’isola, forse lo è ancora. Sicuramente è stato un sogno. Per qualche benpensante: un incubo.
Poi si è trasformato in lutto dalle parti del Giappone, nel lenzuolo della vergine da macchiare, nel "tutti i colori insieme" dell’arcobaleno.
Il bianco, o il "Uait", si sa, si sporca solo con lo sguardo. Basta osservarlo un momento e si possono vedere le ombre indiscrete del curioso che l’attraversano violandolo. È un po’ il colore dell’abito da sposa che mutua dal giglio il candore dell’attesa. Per Giuseppe Piscopo il "Uait" parte da un foglio accartocciato a formare una pallottola che magari fossero tutte così: innocue. Quelle vere feriscono e uccidono, queste tutt’al più accarezzano e diventano un percorso d’arte, le briciole di Pollicino, la dannazione di Hemingway, le tracce del passaggio di Pasolini.
C’è tutto un "Uait" intorno.
Sembrano le parole di una canzone se non fosse l’ennesimo volo di un artista che tende a mostrare la realtà con l’uso di simboli e oggetti quotidiani che si trasformano in icone. È il desktop che si riempie di percorsi abbreviati, di clic che azionano bit, di mani che, nervose, inseguono il topolino in fuga. E se anche l’ombrello si tinge di "Uait" è chiaro che il messaggio non può che essere un altro, fino a volare alto lassù dov’è possibile sognare. I fantasmi sono bianchi, un po’ come gli ectoplasmi e le figure immerse nella nebbia, veri stacchi esistenziali di cuori in subbuglio.
E bianchi sono gli occhi dei moribondi quando si riempiono delle ultime lacrime prima di chiudersi. Il bianco non snellisce però esemplifica, rende tutti uguali a se stessi perché si porta dentro i colori del mondo e ogni possibile caratteristica umana.
Bianco è il regno delle favole e bianchi sono i palazzi costruiti con il marmo e smaltati di fresco, quelli del potere, poi, sono bianchissimi pur non mutuando il colore né dall’abito della sposa né dal candido vergineo del lenzuolo.
Si accoppia con il ferro a formare il duo Sorrentino/Piscopo fino a comporre il "vomito volgare" dei corpi prima e dopo un riempimento che diventa esperimento di assenze.
La bocca è bianca e lo è la macchina da scrivere, l’oggetto-feticcio che accompagna Piscopo nelle sue performance, e lo sono i "minerva" e, chissà perché, le maniche di un gallerista che coprono braccia e mani pronte a graffiare.
Chi segue Piscopo dagli inizi non può non rendersi conto della crescita di un artista che guarda le cose della vita con gli occhi di un bambino e il cuore puro di chi non accetta compromessi. È un "white" nel Uait", che una volta era un’isola e oggi, magari, è una speranza.
Massimo Consorti Direttore di UT

sabato 2 aprile 2011