Un giorno, nel lontano
2008, mi recai al Museo Madre, a quel tempo era ancora un feudo unico
e contemporaneo. C'era la presentazione di una retrospettiva dedicata
all'opera dell'artista tedesco George Baselitz. L'esposizione era
curata da Norman Rosenthal e per l'occasione tra i relatori anche
Achille Bonito Oliva. All'ingresso mi ferma una elegante signora e
mi dice che senza accredito non posso entrare. Nell'arte
contemporanea è difficile entrare, si può accedere solo se si è
accreditati. Altrimenti niente forme,
niente colori, niente suoni, niente bellezza. L'arte oggi dialoga ma
nessuno è in grado di ascoltarla. Senza avere i codici di accesso,
non la puoi comprendere. Allora, penso di registrarmi come
ascoltatore, un uditore in cerca di comprensione, che può finalmente
sentire parlare Baselitz. «No, non è possibile!» la voce
dell'hostess, devo rinunciare e restare fuori. Quando si parla di
arte devi avere un contesto, un ruolo determinante, devi
essere conforme ai grandi eventi. Essere autorizzato agli
eccessi e pure agli accessi. Non vedo in giro nemmeno un manuale, una
guida al rifiuto. Però, se voglio, posso dare un occhiata al
catalogo. Eccolo, bello, copertina bianca e nera col nome
dell'artista color prugna, che spicca elegante sul tavolino ricoperto
di velluto blu. Ma è possibile che tra tutti i movimenti artistici
contemporanei manca uno dedicato all'ascolto? Sorrido alla mia musa,
ho compreso. La vera arte è per pochi, per l'élite, per i
collezionisti, per chi vuole una parete da riempire con vistose
incomprensioni. Ma non fatelo sapere agli artisti, ci rimarrebbero
male. Io sono contemporaneo dell'apatia e vivo la depressione
dell'entrata. Nemmeno alle inaugurazioni, ai vernissage, ai
finissage, posso oltrepassare il limite dell'invito. Non ho critici
che mi fanno l'occhiolino e nemmeno curatori che mi consigliano una
medicina appropriata. Io non faccio arte, gli giro intorno... ma
senza entrare!
Alla fine lascio il
caveau blindato dell'arte e me ne torno a casa. Stringo tra le mani
il catalogo della mostra. Ho portato fuori l'arte. Qualcosa da
leggere, posso guardare anche le figure a colori. Tutto questo è
ancora possibile. L'arte esce per strada, ci hanno provato quelli
della street art ma anche loro sono stati internati, sono stati
privatizzati. Per farsi ascoltare ci vuole ancora tempo, forse se ne
discuterà in una prossima avanguardia. Per il momento l'arte
contemporanea resta dentro, non è fatta per chi sta fuori. Lei
continua a pensare, ad essere concettuale. Si regge sui gesti, sulle
multinazionali del bello, sui dirigibili dei mercanti. Io intanto
aspetto di incontrare la prossima hostess e scambiare con lei due
chiacchiere e alla fine aumentare anche la mia collezione
privata... di cataloghi naturalmente!
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