Mi
sono lanciato nel
vuoto di questo strano pianeta pieno di solitudini, nonostante i suoi
7 miliardi e mezzo di abitanti. La
solitudine è uno spazio pieno, il vuoto è la nostra presenza. Il consumismo ci sta consumando. Dall'alto vedo la morfologia del territorio che ci invita a rivedere
le parti del discorso. Da questa prospettiva si vede la povertà
uscita allo scoperto, la solidarietà tentata. La mappa è divisa in
zone colorate, i contatti sociali sono venuti meno, ci siamo coperti
il naso e la bocca e non riusciamo più ad ascoltare le parole,
rimaste ormai senza fiato. Nella curva dei contagi nessuno rallenta,
si sbanda, nonostante i limiti. Le distanze si accorciano, ora mi
avvicino al suolo, ora sono visibile. L'anima scende senza il peso
del corpo, ci vuole una testa nuova per scoprire che è l'amore il
vero fine dell'esistenza. C'è sempre qualcosa o qualcuno che ci
salva dalle ripetute cadute libere. Forse ce la faremo, il destino ha
perso la sua forza vitale, forse riusciremo a capire gli altri, a
creare relazioni, ad interrompere le guerre inutili, a non sperare
che arrivino i nostri. C'è un tempo per stare chiusi in casa e un
tempo per uscire dalla nostra apatia. Auguri terra!
giovedì 31 dicembre 2020
giovedì 23 luglio 2020
Ascolta!
Un giorno, nel lontano
2008, mi recai al Museo Madre, a quel tempo era ancora un feudo unico
e contemporaneo. C'era la presentazione di una retrospettiva dedicata
all'opera dell'artista tedesco George Baselitz. L'esposizione era
curata da Norman Rosenthal e per l'occasione tra i relatori anche
Achille Bonito Oliva. All'ingresso mi ferma una elegante signora e
mi dice che senza accredito non posso entrare. Nell'arte
contemporanea è difficile entrare, si può accedere solo se si è
accreditati. Altrimenti niente forme,
niente colori, niente suoni, niente bellezza. L'arte oggi dialoga ma
nessuno è in grado di ascoltarla. Senza avere i codici di accesso,
non la puoi comprendere. Allora, penso di registrarmi come
ascoltatore, un uditore in cerca di comprensione, che può finalmente
sentire parlare Baselitz. «No, non è possibile!» la voce
dell'hostess, devo rinunciare e restare fuori. Quando si parla di
arte devi avere un contesto, un ruolo determinante, devi
essere conforme ai grandi eventi. Essere autorizzato agli
eccessi e pure agli accessi. Non vedo in giro nemmeno un manuale, una
guida al rifiuto. Però, se voglio, posso dare un occhiata al
catalogo. Eccolo, bello, copertina bianca e nera col nome
dell'artista color prugna, che spicca elegante sul tavolino ricoperto
di velluto blu. Ma è possibile che tra tutti i movimenti artistici
contemporanei manca uno dedicato all'ascolto? Sorrido alla mia musa,
ho compreso. La vera arte è per pochi, per l'élite, per i
collezionisti, per chi vuole una parete da riempire con vistose
incomprensioni. Ma non fatelo sapere agli artisti, ci rimarrebbero
male. Io sono contemporaneo dell'apatia e vivo la depressione
dell'entrata. Nemmeno alle inaugurazioni, ai vernissage, ai
finissage, posso oltrepassare il limite dell'invito. Non ho critici
che mi fanno l'occhiolino e nemmeno curatori che mi consigliano una
medicina appropriata. Io non faccio arte, gli giro intorno... ma
senza entrare!
Alla fine lascio il
caveau blindato dell'arte e me ne torno a casa. Stringo tra le mani
il catalogo della mostra. Ho portato fuori l'arte. Qualcosa da
leggere, posso guardare anche le figure a colori. Tutto questo è
ancora possibile. L'arte esce per strada, ci hanno provato quelli
della street art ma anche loro sono stati internati, sono stati
privatizzati. Per farsi ascoltare ci vuole ancora tempo, forse se ne
discuterà in una prossima avanguardia. Per il momento l'arte
contemporanea resta dentro, non è fatta per chi sta fuori. Lei
continua a pensare, ad essere concettuale. Si regge sui gesti, sulle
multinazionali del bello, sui dirigibili dei mercanti. Io intanto
aspetto di incontrare la prossima hostess e scambiare con lei due
chiacchiere e alla fine aumentare anche la mia collezione
privata... di cataloghi naturalmente!
domenica 12 aprile 2020
venerdì 3 aprile 2020
la bestia
C’è una vignetta di Altan in cui è rappresentata una coppia di animali umanizzati, lui che legge il giornale e dice: «gli uomini sono delle bestie» e lei alle prese con i fornelli risponde: «magari».
Noi da bambini siamo cresciuti con i cartoni animati e i film di animazione dove gli animali imitavano gli umani, le loro storie avevano sempre un lieto fine. Dicono che le bestie sono mosse dall’istinto, mentre l’uomo dalla ragione e dalla logica. Allora perché il mondo è diventato un posto pericoloso? Dove non ci sono uscite di sicurezza! Come definire la mente che sta sempre in guerra, che ha quasi distrutto il regno vegetale e sfruttato senza remora quello minerale. Sulle psicosi e le nevrosi Freud ha fatto la sua fortuna. I filosofi da secoli si sbizzarriscono per cercare risposte ai dubbi della vita. «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza», diceva Ulisse dalle fiamme dell’inferno dantesco. Gli uomini, fortunatamente non tutti, hanno un lato non illuminato, una “bestia interiore” pronta a venir fuori e nel peggiore dei modi. Il mondo grazie all’uomo vanta un cospicuo curriculum di bestialità.
Quante atrocità e crimini si sono consumati in nome di una ideologia, di una religione, di un dittatore esaltato. Quanti esseri volontari e volenterosi si sono macchiati delle più assurde nefandezze per poi appendere, nell’armadio, la loro uniforme malvagia. Oggi, tanti cervelli ad orologeria sono pronti ad esplodere, lasciando morire la propria donna o a spegnere, con strani giochi, l’innocenza di un bambino. Le invisibili costrizioni, gli abusi, le depravazioni, si insinuano spesso nelle nostre debolezze. Malattia, mafia, mercato finanziario, potere occulto, corruzione. La bestia non vive soltanto nel castello incantato. Che fine hanno fatto la logica? L’intelligenza? La cultura? L’amore per la vita? Queste le cose che ci differenziano dagli altri animali e non ci mettono in competizione con loro. Alla fine mi viene in mente un’altra delle numerose vignette di Francesco Tullio Altan: «Sono un essere umano» dice un immigrato e un uomo con la divisa risponde: «dicono tutti così».
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